Come interagire al meglio con i bimbi dai 5 ai 10 anni: 3 strategie infallibili

Essere genitori non è sempre facile.

Ci sono volte in cui ti senti davvero incapace: quando i tuoi figli fanno finta di non sentirti, o fanno esattamente l’opposto di quanto chiedi loro, o esplodono in capricci o violenza incontrollata.

Se stai cercando in tutti i modi di cambiare come i tuoi figli si comportano, sono sicura che leggere questo articolo ti farà riflettere molto, e potrà essere la chiave di svolta per costruire un rapporto pacifico e divertente.

Mi sono detta: chi più di un insegnante, abituato a gestire classi di 20 bambini, può sapere quali sono le migliori strategie per comunicare al meglio con loro?

Così ho contattato Giulia Lucietto.

La maestra Giulia che si gode una domenica soleggiata

Laureata con lode in Scienze dell’Educazione e della Formazione, con una collaborazione con l’Università di Padova sull’educazione al piacere della lettura, Giulia insegna da ormai 9 anni in una scuola primaria. I “suoi” bambini, dai 5 ai 10 anni d’età, la adorano (vedi foto sotto), e a breve ne capirai il motivo 😊 .

Messaggi di affetto per la maestra Giulia dai suoi piccoli allievi

Ho chiesto a Giulia se poteva condividere quali sono le 3 principali strategie che utilizza per interagire al meglio con i bambini.

Ecco cosa mi ha risposto:

Strategia #1: Renderli protagonisti, appassionarli, coinvolgerli

Questa è la strategia che utilizzo di più come insegnante.

Ad esempio, se devo proporre gli animali in scienze, posso fare 7 lezioni frontali e forse il 20% della classe apprenderebbe tutto quello che voglio trasmettere.

Se invece faccio anche solo un paio di lezioni con giochi, immagini, canzoni, qualcosa di coinvolgente e attivo, riesco non solo a coinvolgere l’80% dei bambini, ma anche a creare un apprendimento radicato e duraturo nel tempo.

Un po’ come diceva Benjamin Franklin “dimmi e io dimentico, mostrami e io ricordo, coinvolgimi e io imparo”. 
Si tratta di un approccio naturale, perché se ci pensate tutti i primi apprendimenti passano attraverso il gioco e l’esperienza diretta, per cui perché abbandonare questa strada quando funziona così bene?

“Divertimento è soltanto un’altra parola per dire apprendimento”, Ralph Koster

Questo significa che l’adulto per primo non deve avere paura di mettersi in gioco.

Non si deve partire con l’idea “Mi vergogno di cantare. Io vi metto la canzone ma la cantate voi”. Altrimenti loro non la canteranno mai.

Li si aiuta a mettersi in gioco solo se ci mettiamo noi per primi in gioco.

Come si può applicare questa strategia al di fuori della scuola?

Se leggiamo con loro, ci sporchiamo le mani con loro, facciamo le vocine, cogliamo e ci stupiamo delle piccole cose nella quotidianità, riusciremo ad appassionarli e a trasmettere loro un interesse che è duraturo nel tempo e produce più frutto.

Non servono grandi fantascientifiche attività: coinvolgiamoli nelle piccole cose che facciamo ogni giorno, rendendoli protagonisti, permettendo loro di provare, “pasticciare”, e anche di sbagliare.

Plastico e piantina della scuola creati dalla maestra Giulia ed i suoi studenti

Strategia #2: Ascoltarli

Bisogna avere la pazienza di ascoltare.

Spesso gli insegnanti (e gli adulti in generale, ndr) tralasciano questa cosa perché c’è la presunzione, sbagliata, che siccome io ti devo insegnare, sono io che so, e sei tu bambino che devi ascoltare.

Ma così come siamo noi per primi che dobbiamo metterci in gioco per aiutare loro a mettersi in gioco, dobbiamo essere noi per primi ad ascoltare, se vogliamo che loro poi ascoltino.

Se per esempio sto insegnando i problemi in matematica, e un bambino ne ha risolto uno in maniera diversa da quella che ritenevo corretta, non necessariamente questo significa che abbia sbagliato.

Se ho la pazienza di ascoltare e di discuterne con lui, posso capire che la sua alternativa è semplicemente dettata da un ragionamento divergente.

Ed ecco che dal mio ascoltare può emergere una nuova soluzione, che può andare ad arricchire il bagaglio di tutti.

Allo stesso tempo, l’ascolto mi permette di capire a quale livello è il bambino in quel particolare momento.

Se riesco ad ascoltare questi suoi segnali, posso capire quale possa essere la strategia più efficace per interagire con lui.

Perle trovate stalkerando il profilo FB di Giulia. Ascoltare i bambini può illuminarti le giornate 🤣

Come si può applicare questa strategia al di fuori della scuola?

Nel contesto familiare, questo si traduce nel cogliere i segnali del bambino per capire quello che sta provando in quel momento.

Solo se lo si ascolta con attenzione si può capire il suo mondo interiore, e si possono scegliere quelle attività, giochi, e letture che lo sostengano al meglio nel suo percorso assieme a noi genitori.

O anche più semplicemente, ascoltare il suo punto di vista aiuta a trovare le parole giuste per comunicare con lui in modo efficace e mirato.

Strategia #3: Stimolarne l’autonomia

Aiutare il bambino a fare le cose da solo va sotto il termine pedagogico di scaffolding, ovvero fare da impalcatura.

Quando propongo al bimbo un’attività nuova, sicuramente potrebbe avere bisogno di una mano. Il mio ruolo è quello di fargli da sostegno, da impalcatura appunto, per aiutarlo a muovere i primi passi.

Non di sostituirmi a lui.

Quando il bambino si trova di fronte ad una difficoltà, è corretto mostragli come può fare, dargli delle strategie, dirgli “hai provato per caso in questo modo?”, senza però essere noi alla fine a fare il lavoro al posto suo.

“Mai fare per un bambino ciò che è in grado di fare da solo”

Rudolf Dreikurs, M.D.
Foto di Vlada Karpovich su Pexels

In ogni determinato momento, il bambino si trova ad un certo livello: ci sono delle abilità e competenze che già padroneggia, e altre che sono troppo distanti da lui.

Andare a proporgli qualcosa di troppo distante non ha senso, perché scatenerebbe solo un senso di inadeguatezza e frustrazione.

Invece c’è tutta una fascia, detta zona di sviluppo prossimale, che sta subito al di fuori di quello che il bambino sa già fare, e racchiude tutto quello che può imparare a fare.

Lavorare in questo intervallo significa essere sfidante per il bambino, perché gli si propone qualcosa di nuovo in cui può riuscire.

Lo si deve aiutare a trovare le giuste strategie, a scoprirsi, a conoscersi bene, in modo da poter svolgere in autonomia il compito che gli è stato assegnato.

A mano a mano che il bambino acquisisce confidenza, il nostro ruolo di sostegno va a togliersi, finché arriva a padroneggiare questa nuova competenza.

Come si può applicare questa strategia al di fuori della scuola?

Quando si è a casa, i genitori possono delegare molti lavoretti ed attività ai propri figli. 
Può essere utile svolgere questi compiti assieme ai figli per mostrar loro come fare, o per sostenerli in ciò che provano a fare, lasciando loro però l’autonomia del fare da soli. 
Questo dà sicuramente una sensazione di efficacia ed incrementa l’autostima del bambino. 

Inoltre conferisce un senso di appartenenza alla famiglia, perché ognuno contribuisce nella propria misura alla vita comune di tutti.

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