Come interagire al meglio con i bimbi dai 3 ai 6 anni: 3 strategie infallibili

Foto di Yan Krukov su Pexels

Come interagire al meglio con i bambini dai 3 ai 6 anni?

Ho chiesto ad Anita Fabris, che lo fa di lavoro: insegna alla scuola dell’infanzia da ormai 10 anni, e i bambini la adorano!!

Tante dimostrazioni di affetto per la maestra Anita.

(Potrebbero anche interessarti le strategie per comunicare con i ragazzi dai 5 ai 10, dagli 11 ai 13, e dai 14 anni in su.)

Quali sono i suoi segreti?

Ecco la sua risposta:

Strategia #1: Abbassarsi fisicamente al loro livello

La maestra Anita in una delle sue camminate tra i monti.

Una delle strategie che utilizzo a scuola ogni giorno è di abbassarmi al livello dei bambini.

Questo atto di abbassarsi è un gesto che si fa fisicamente, nel senso di inginocchiarsi o sedersi, magari a terra, in modo che l’altezza del nostro sguardo sia a livello dello sguardo dei bambini.

Con questo semplicissimo gesto il bambino si sente accolto in tutte le sue sfaccettature (nei momenti di gioia ma anche, ancora più importante, nei momenti di fragilità), e riesce a vedere la disposizione dell’adulto ad un ascolto sincero.

Perché si sa che i bambini, soprattutto i più piccolini, più che alle parole danno importanza ai gesti, agli sguardi, e alle proprie sensazioni.

“I bambini, soprattutto i più piccolini, più che alle parole danno importanza ai gesti, agli sguardi, e alle proprie sensazioni.

Questo scendere al loro livello in realtà non è altro che un elevarsi all’altezza dei loro sentimenti, per riprendere le splendide parole di Korczak che mi sono rimaste impresse ancora dai tempi dell’università.

Abbassarsi, scendere, piegarsi, farsi piccoli per elevarsi fino all’altezza dei sentimenti dei bambini.

Sentendosi pienamente capito, il bambino riesce ad esprimersi, a raccontarsi, o semplicemente a sciogliersi in un abbraccio.

Per i bambini più piccoli, che non sono ancora in grado di elaborare i propri sentimenti, a volte infatti un semplice abbraccio può essere tutto quello di cui hanno davvero bisogno.

Come si può utilizzare questa strategia a casa?

Foto di Barbara Olsen su Pexels

Questa strategia può essere utilizzata da tutti gli educatori, non soltanto gli insegnanti: genitori, nonni, zii, maestri di musica, allenatori…

Si vedono spesso genitori che accennano a piegarsi verso il bambino, ma di fatto continuano a sovrastarlo.

In questo modo il bambino faticherà ad ascoltare quello che gli si sta dicendo, e non sarà nella disposizione d’animo di cogliere il senso di una spiegazione, un consiglio, o anche di un piccolo rimprovero, qualora non ci sia stato un comportamento adeguato.

Soddisfazioni che si provano quando si fa il proprio lavoro con amore.

Penso alle nostre classi della scuola dell’infanzia: abbiamo una sola sedia ad altezza adulto, che serve rigorosamente per appoggiare la borsa della maestra, perché tanto non ci si siede mai nessuno!

Invece usiamo sempre le seggioline più piccole: i bambini fanno quasi a gara per avere noi maestri seduti vicino, anche solo per cantare una canzone.

Strategia #2: Il sorriso, o proprio la risata

Foto di Yan Krukov su Pexels.

Imparare non dovrebbe essere una cosa che si fa in maniera seria.

Certamente è una cosa seria imparare, ma ciò non significa che non possa essere divertente!

Il grande Gianni Rodari, che mi accompagna dai tempi della tesina delle superiori, diceva ad esempio in merito all’ortografia: “Perché imparare piangendo ciò che si può imparare ridendo?”; famose a proposito sono tutte le sue filastrocche sugli errori ortografici.

“Perché imparare piangendo ciò che si può imparare ridendo?”

GIANNI RODARI

Ciò che spesso non viene ancora compreso dagli esterni al mondo della scuola, in particolare della scuola dell’infanzia, è che l’attività educativa più seria in assoluto è il gioco.

Quindi una strategia che proprio mi appartiene è la risata.

I bambini spesso mi dicono in classe: “Maestra, tu sei un po’ pazza: ci fai sempre gli scherzi, ci fai sempre ridere!”.

Non vedo un modo migliore per apprendere che la risata, o anche solo il sorriso.

Non vedo un modo migliore per apprendere che la risata, o anche solo il sorriso.

Un bambino che arriva a scuola contento, e che si approccia con il sorriso a qualsiasi attività, dalla più semplice alla più elaborata, ha la serenità di poterla affrontare in maniera tranquilla, senza sentirsi giudicato.

Poter imparare ridendo, con leggerezza che non è superficialità, permette che i bambini siano sereni e riescano a lanciarsi nelle imprese di ogni giorno.

Come si può utilizzare questa strategia a casa?

Questo atteggiamento può essere accolto anche dai genitori: un atteggiamento positivo e un clima sereno fanno sì che i bambini si relazionino meglio con gli altri e con l’ambiente esterno.

Per un bambino dai 3 ai 6 anni, tutto è una novità, un’esperienza.

Un’altra passione di Anita: le orchidee

In ogni cosa che fa c’è l’apprendimento. Anche azioni banalissime come apparecchiare la tavola possono essere trasformate in “lezioni” stimolanti: si possono contare i posti, familiarizzare con posizioni tipo destra, sinistra, sopra e sotto (le posate a destra del piatto sopra il tovagliolo), i colori della tovaglia…

Non occorre puntare ad attività strabilianti: basta fare semplici cose, ma farle sorridendo.

Non occorre puntare ad attività strabilianti: basta fare semplici cose, ma farle sorridendo.”

Riuscire a strappare una risata ad un bambino, magari anche un po’ timido, è una grande conquista, perché vuol dire che si è riusciti a metterlo così tanto a suo agio che può permettersi di manifestare una piccola emozione come quella del divertimento, della serenità.

Funziona un po’ come nel mondo adulto se ci pensiamo: se ad un colloquio di lavoro o in un ambiente nuovo ci presentiamo con il broncio, difficilmente susciteremo grande interesse. Se invece sfoggiamo un sorriso accompagnato da un atteggiamento empatico e accogliente verso gli altri, potremo sicuramente ottenere risultati migliori.

L’insegnamento di Gianni Rodari che la maestra Anita ha fatto proprio.

Strategia #3: Favorire l’autonomia e l’indipendenza

Il motto è sicuramente quello della pedagogista Montessori: “Aiutami a fare da solo”.

Noi adulti abbiamo il compito di sostenere il bambino, soprattutto nelle prime esperienze, per far sì che un po’ alla volta riesca ad acquisire un’autonomia sempre maggiore e possa sentirsi in grado di svolgere il compito da solo.

(Con compito intendo cose anche molto semplici, tipo infilarsi le scarpe o mettersi il giubbotto.)

In questo modo il bambino un po’ alla volta apprende la tecnica, affina i movimenti, o adotta quelli che sono alcuni piccoli accorgimenti. Ad esempio, con l’esperienza imparerà che se con le mani si allargano bene le linguette delle scarpe, diventa più semplice infilarci dentro il piede.

L’ago di garda

C’era una volta un lago, e uno scolaro
un po’ somaro, un po’ mago,
con un piccolo apostrofo
lo trasformò in un ago.
“Oh, guarda, guarda –
la gente diceva – l’ago di Garda!”
“Un ago importante:
è segnato perfino sull’atlante”.
“Dicono che è pescoso.
Il fatto è misterioso:
dove staranno i pesci, nella cruna?”
“E dove si specchierà la luna?”
“Sulla punta si pungerà,
si farà male…”
“Ho letto che ci naviga un battello”.
“Sarà piuttosto un ditale”.
Da tante critiche punto sul vivo
mago distratto cancellò l’errore,
ma lo fece con tanta furia
che per colmo d’ingiuria,
si rovesciò l’inchiostro
formando un lago nero e senza apostrofo.

Una delle filastrocche di Gianni Rodari sugli errori grammaticali.

Il bambino quando riesce a svolgere il compito che gli è stato assegnato si sente gratificato, competente, e questo aumenta la sua autostima e favorisce la percezione di sé come persona in grado di svolgere azioni con successo.

Durante la fase di supporto è importante non demonizzare l’errore o il piccolo fallimento: sono infatti alla base di quello che è l’apprendimento autonomo.

E’ assolutamente normale che il bambino le prime volte si infili le scarpe storte, oppure non sia capace di chiudere subito la cerniera del giubbotto. L’adulto ha il compito di sostenerlo e di rinforzare la parte positiva, e un po’ alla volte aiutarlo in quelle che sono le imprecisioni.

Foto di Allan Mas su Pexels

Nel motto “aiutami a fare da solo” è implicito che l’adulto non deve sostituirsi al bambino.

Sicuramente noi sapremmo infilare più velocemente e meglio le scarpe, ma se compiamo l’azione sempre noi al posto loro, non permettiamo ai bambini di cimentarsi e sperimentarsi, di mettersi in gioco e quindi di imparare.

Soprattutto, i bambini si percepiranno sempre incompetenti. Da questo deriverà un’immagine di sé non all’altezza del compito che è stato loro proposto.

Come si può utilizzare questa strategia a casa?

Tutti coloro che educano i bambini possono incoraggiarli all’autonomia.

Questo approccio richiede tempo e pazienza, ma porterà a risparmiare molto tempo e pazienza nel futuro 🙂

Prima di adottare questo metodo, è opportuno pianificare bene: ad esempio, le 7 del mattino prima di andare a scuola e a lavoro non sono il momento giusto per lasciare al bambino il tempo per imparare a vestirsi o fare colazione da solo.

Se ci si esercita nei momenti calmi, al momento del bisogno il bambino riuscirà a svolgere l’azione da solo in un tempo ragionevole.

E’ importante non perdere occasione di far sperimentare il bambino, anche nelle cose che possono sembrare più banali: l’emozione di essere capace, di essere all’altezza, di poter sbagliare senza timore si accumula a creare un’immagine forte di sé.

Qualcuno ha detto albo illustrato? La libreria della maestra Anita 🙂

Una volta ho letto una frase in internet che mi è rimasta impressa: “Un genitore che fa troppo per suo figlio crescerà un figlio che non farà abbastanza per se stesso”.

“Un genitore che fa troppo per suo figlio crescerà un figlio che non farà abbastanza per se stesso”

Grazie mille Anita!! Farò tesoro delle tue parole, e cercherò di metterle subito in pratica con mio figlio Noah, 4 anni e mezzo 😉

Potrebbero interessarti anche...