Dall’abisso della malattia alle vette della montagna: la storia di Margherita

Margherita riesce a passare dalla malattia alla vetta della montagna
Foto di Quang Nguyen Vinh su Pexels.

Conosco Margherita dalle superiori, e ho avuto la fortuna di essere testimone della sua meravigliosa evoluzione.

Chi l’ha incontrata solo di recente, sarà sicuramente rimasto colpito dal suo fare spumeggiante, allegro, sbarazzino.

Ma Margherita racchiude una storia di malattia che mai uno sospetterebbe, e che le ha dato quella sensibilità intensa che tanto cerca di nascondere agli altri (😝).

Ho voluto farle questa intervista per poter sfiorare un po’ di quello che ha imparato dal suo passato difficile, e devo dire che è stata dura (impossibile, lo ammetto) trattenere le lacrime.

Hai avuto un’adolescenza diversa dagli altri. Potresti raccontarla?

Fortunatamente sono sempre stata bene di salute, mai avuto problemi, fino all’età di 13 anni.

Nel 2001 mi è stata diagnosticata una leucemia.

Me ne sono accorta perché ero sempre stanca. Andavo a scuola in bici, e per fare 2 kilometri mi sembrava stessi scalando l’Everest.

Il 24 ottobre 2001 torno a casa, ho la febbre a 38 e mezzo. Mia mamma mi porta dal medico.

Il medico appena mi guarda mi dice: “Mmh, non mi piace tanto come stai, ti faccio fare le analisi del sangue”.

Il giorno dopo ho fatto gli esami del sangue, sono tornata a casa e andata a letto diretta.

Dopo è successa quella cosa che mi ricorderò per tutta la vita: ce l’ho sempre stampata in faccia nonostante siano passati più di 20 anni.

Mi sveglio e ho la faccia del mio medico di base davanti a me, l’orologio che segna mezzogiorno spaccato, e mia madre che piange sulla porta della camera.

Mi sveglio e ho la faccia del mio medico di base davanti a me, l’orologio che segna mezzogiorno spaccato, e mia madre che piange sulla porta della camera.

Guardo il medico che mi dice “Margherita vèstiti che dobbiamo andare a Padova in ospedale in oncoematologia.

L’ho guardato, e non avendo pazienza per le sorprese gli ho chiesto di dirmi subito cosa avessi. “Potresti avere una malattia del sangue, una leucemia”, mi risponde.

Margherita in sella alla sua adorata mountain bike.

Come se niente fosse mi sono alzata, mi sono vestita e siamo partiti.

Con mia madre che piangeva, mio padre a lavoro, mia sorella alle superiori -tra l’altro era l’anno della maturità-, e mio fratello all’università.

Siamo andati a Padova. Mi ricordo che in macchina ho chiacchierato tranquillamente, ero abbastanza serena. Secondo me non mi sono mai resa conto cosa avessi in quel periodo là.

Siamo arrivati in questo reparto, devo dire stupendo: il team di medici, infermieri e volontari è fantastico. Mi sono trovata benissimo.

Mi hanno messo in camera con un ragazzo, più o meno mio coetaneo. Era lì con sua madre.

Dato che i pazienti hanno le difese immunitarie bassissime e anche un raffreddore potrebbe essere fatale, in questi reparti entra il malato con un familiare, e di solito anche sempre quello, senza tanti “ricambi”.

Le finestre rimangono chiuse, e le regole devono essere rispettate.

I primi due giorni ho fatto tutti gli esami, ho fatto il prelievo del midollo, e mi è stata subito diagnosticata questa leucemia linfoblastica acuta. Fortunatamente una forma di tumore del sangue non così grave, presa anche non troppo tardi (era da un mesetto e mezzo che stavo male).

I medici mi hanno spiegato bene il percorso che avrei dovuto fare, e devo dire che hanno avuto una gentilezza, delicatezza e dolcezza incredibili.

Il percorso era una serie di cicli di chemio da fare con ricovero e non. Mi hanno spiegato tutti gli effetti collaterali dei farmaci: la perdita dei capelli, nausea, sbalzi d’umore, e mi hanno spiegato i vari possibili risvolti, belli e non.

La cosa brutta è stata che quando sono rientrata in camera, il mio compagno di stanza è morto. E quindi là ho avuto la prima vera crisi di nervi della mia vita. Ho pianto per due giorni e volevo andare via. Ero andata fuori di testa.

Fortunatamente in quei casi ti danno subito un supporto psicologico, che ho avuto durante tutta la malattia, e devo dire che è stato fondamentale: nessuno si salva da solo. Lo penso ora, e lo penserò per sempre.

“Nessuno si salva da solo. Lo penso ora, e lo penserò per sempre.”

È iniziato questo percorso. Il primo ricovero è durato un mese. Mi hanno messo un catetere per prelevare il sangue e per le varie cure, che ho tenuto due anni.

Margherita in Val Montanaia.

Al rientro a casa da questo primo ricovero, ricordo bene la sensazione di non riuscire a fare le scale, perché ero stata sempre a letto. È stato molto difficile per me.

Ho fatto il primo anno di malattia che ero in terza media: non l’ho praticamente mai frequentata.

Ho frequentato delle lezioni in ospedale, che però chiaramente non potevano sostituire una terza media in presenza.

Il primo anno è stato quello più duro: ero sempre in ospedale, ho avuto vari momenti difficili, stomatiti, problemi di vomito.

Passato il primo anno, ho iniziato il liceo, e già il secondo giorno ero a casa per via delle cure. Quindi anche il primo anno delle superiori l’ho fatto metà in presenza, metà in assenza.

Quali sono state le difficoltà più grandi che hai incontrato?

La mia difficoltà più grande durante la malattia, non è stata la malattia.

Il tumore l’ho vissuto bene. Mentre tutti erano disperati intorno a me, perché quando hai un figlio o una sorella ti preoccupi e stai male, io l’ho vissuta benissimo: per me è stata una passeggiata.

L’inferno, per me, è stata la conseguenza della malattia.

Ho dovuto fare cure di cortisone, che è diventato il mio maggior nemico. Gli effetti collaterali di questo farmaco sono molteplici e orribili: sei dipendente dal cibo (mangi sempre, a qualsiasi ora), non dormi, sei nervosissimo, hai sbalzi di umore incredibili.

Io mangiavo, ingrassavo, e piangevo, e non potevo fare a meno di continuare a mangiare. Quindi per me è stato un inferno.

“Io mangiavo, ingrassavo, e piangevo, e non potevo fare a meno di continuare a mangiare.”

Quando ho finito di prenderlo, nonostante i medici mi dicessero “Margherita, è normale, è l’effetto che fa, e nel giro di 3-4 mesi ti riprenderai”, ho smesso di mangiare.

Margherita con l’amica di sempre Annarita, durante la sua malattia alimentare.

È iniziato il mio inferno, che comunque non sarà mai finito.

Non mangiavo più, ero nel pieno delle mie cure, e ho praticamente violentato il mio corpo: mi nutrivo di una mela verde al giorno, e di tantissime gomme da masticare.

Non mangiavo più, ero nel pieno delle mie cure, e ho praticamente violentato il mio corpo: mi nutrivo di una mela verde al giorno, e di tantissime gomme da masticare.

Le mie compagne di classe delle superiori tra cui te, Giada (ride, ndr), lo sanno bene!

Ed ero diventata ossessionata. Chiedevo a tutti: “Ma sono diventata grassa? Devo perdere almeno 10 kg!”.

Nonostante mi stessi ancora curando dal tumore, niente: per me la cosa fondamentale era se apparivo grassa. Non mangiavo più.

Già quando hai una figlia o sorella con un tumore, vai a scompensare gli equilibri di una famiglia: mio papà era abituato ad avere mia mamma sempre a casa, ora invece era con me in ospedale, quindi era andato un po’ in crisi. Anche per mio fratello e mia sorella non è stato facile, ho scombussolato la loro quotidianità, la vita di una ragazza di 18 anni e di un ragazzo di 23 anni.

Però quando è successa questa cosa che non mangiavo più, purtroppo non hanno capito la gravità della situazione. Un po’ perché forse dopo una malattia così, avranno detto “Eh no, un’altra cosa che però ti stai cercando tu no!”.

Per loro è come se io avessi un’idea in testa, capricci sostanzialmente. Non vedevano che la loro figlia ogni giorno di più si stava distruggendo.

Questa non è stata l’unica difficoltà: ho anche avuto forti difficoltà relazionali.

Perché alla fine quando perdi degli anni fondamentali per la crescita emotiva con i tuoi coetanei, fai incidenti appena sei libera.

Come hai superato queste difficoltà? Cosa ti ha aiutato di più?

La persona che più mi ha aiutato è stata mio fratello: ha visto la gravità della situazione, e non ha esitato a portarmi a Vicenza al centro di studi alimentare. Là ho iniziato un percorso nel percorso (sorride, ndr).

Facevo un giorno a Padova, un giorno a Vicenza. Stavo curando una leucemia, quindi qualcosa di fisico, e nel frattempo curavo la malattia mentale, o la malattia dell’affetto.

Stavo curando una leucemia, quindi qualcosa di fisico, e nel frattempo curavo la malattia mentale, o la malattia dell’affetto.

Sono stati degli anni interessanti (sorride, ndr).

Il tumore è stato facile: due anni di terapie, seguiti da due anni di terapia di mantenimento per bocca. In quattro anni ero fuori.

L’altro problema è stato duro! È andato avanti tanti anni, sono stata supportata psicologicamente tanti anni, anzi continuo a farmi supportare tuttora.

È stata una bella battaglia. Credo che sia una cosa da cui non potrai mai uscire completamente. Devi imparare a conviverci.

Nella maggior parte dei casi i fantasmi non spariscono, i fantasmi rimangono. La vittoria è dire “OK, so che i fantasmi ci sono, ma mi ci abituo, e me li faccio miei amici”.

Nella maggior parte dei casi i fantasmi non spariscono, i fantasmi rimangono. La vittoria è dire “OK, so che i fantasmi ci sono, ma mi ci abituo, e me li faccio miei amici”.

Un po’ come John Nash in “A Beautiful Mind”: era schizofrenico. Alla fine si è abituato alla sua malattia, alle sue pazzie.

Quello che mi ha aiutato di più è stato mio fratello ed i miei amici.

Purtroppo non sento di ringraziare la mia famiglia su questa patologia perché non mi sono sentita capita.

Ho passato degli anni in cui ero arrabbiata con loro, perché dicevo: “Ma come fai a non capire che tua figlia sta male, che ha bisogno di te, di una parola, di un abbraccio, e invece mi sai solo rimproverare?”.

“Ma come fai a non capire che tua figlia sta male, che ha bisogno di te, di una parola, di un abbraccio, e invece mi sai solo rimproverare?”

Quando mia mamma mi portava a Vicenza l’avvertivo come uno sforzo, come un peso; non lo faceva volentieri come lo faceva quando mi portava a Padova.

Per quanto riguarda il problema relazionale, mi ha aiutato molto un ragazzo con cui ho cominciato a frequentarmi durante l’ultimo anno delle superiori.

Tutt’oggi lo ringrazio tantissimo, perché per me è stato un angelo caduto dal cielo.

Con lui mi sentivo veramente io. Non avevo nessuna maschera, niente da indossare. Ho potuto mostrami vera, con tutte le mie fragilità.

Mi ha accettata per com’ero: è stata la cosa più bella ed importante di questo rapporto, che mi ha aiutato tanto.

“Mi ha accettata per com’ero: è stata la cosa più bella ed importante di questo rapporto, che mi ha aiutato tanto.”

Non ho dovuto nascondermi, o avere paura di mostrarmi per quello che ero o non ero, avevo fatto o non avevo fatto.

Auguro a tutti nella vita di avere un rapporto così, perché non è una cosa da poco.

Non l’ho proprio trattato bene, perché ero molto immatura sentimentalmente parlando. Se potessi, cambierei alcune cose.

Se tornassi indietro nel tempo cosa diresti alla Margherita a cui è stata appena diagnosticata la malattia?

Margherita festeggia il compleanno assieme alla sorella, durante la sua malattia.

Direi assolutamente di stare positiva, di sorridere, e di stare calma. Che tutto va come deve andare. E che le cose si affrontano sempre.

Penso anche che nulla capita per caso. E quindi direi “Margherita, se ti è successa questa cosa, evidentemente è perché sei in grado di superarla. Quindi vai, combatti, combatti alla grande.”

Questo direi.

Perché sono cose che a me non sono state dette, e avrei tanto voluto sentirmele dire.

“Sono cose che a me non sono state dette, e avrei tanto voluto sentirmele dire.”

Invece purtroppo all’epoca mi sono state vomitate addosso ansie. Sicuramente a Margherita non vomiterei addosso altre ansie, ma direi “Vai, combatti, che vai bene!”.

Che messaggio daresti ai ragazzi che si trovano ad affrontare la malattia in una fase così delicata?

Darei il messaggio di stare vicini ai genitori. E di supportarli, cosa che io non ho fatto così bene.

Perché ero arrabbiata.

Quando una persona ha una malattia, e di questo me ne sono resa conto più dopo che durante, in realtà ha una forza incredibile, che le permette di superare tutto.

Margherita felice di aver raggiunto la croce Punta Penia, Marmolada (3343 m).

Il nostro corpo può fare grandi cose, la nostra mente anche.

“Il nostro corpo può fare grandi cose, la nostra mente anche.

Quindi direi agli adolescenti di supportare la famiglia, perché a volte la famiglia non ha gli strumenti per farlo. È impreparata, la malattia non è una cosa che capita tutti i giorni.

Li esorterei a fare i genitori dei loro genitori. Fare i fratelli o sorelle maggiori dei loro fratelli e sorelle.

Chiederei lo sforzo di fare quel passo in più, perché sono certa che passando quello che stanno passando hanno una forza speciale in più.

Chiederei lo sforzo di fare quel passo in più, perché sono certa che passando quello che stanno passando hanno una forza speciale in più.

Se si prendono cura dei propri genitori (spesso si pensa che sia dei genitori il compito di prendersi cura dei figli, ma a volte semplicemente non riescono a farlo) durante le loro cure, può crearsi un legame indissolubile, speciale, ed è una cosa che se tornassi indietro farei tantissimo.

Un altro consiglio che darei è di amarsi tantissimo (le si rompe la voce, ndr ❤️ ), di volersi bene, che è una cosa che io non ho assolutamente fatto, anzi. Quindi vi prego se vi trovate in questa situazione, ma anche in generale nella vita, amatevi. È fondamentale.

“Un altro consiglio che darei è di amarsi tantissimo, di volersi bene, che è una cosa che io non ho assolutamente fatto, anzi.”

Amarsi anche nei piccoli gesti, non serve chissà che.

Che messaggio daresti ai genitori che si trovano ad affrontare la malattia del figlio?

Semplicissimo: Abbracciate i vostri figli!

Date loro affetto. Basta questo.

Non giudicateli. Non trattateli come degli ammalati. Non teneteli dentro una campana di vetro. Altrimenti fate solo dei danni enormi che non vedrete subito, ma che vedrete poi negli anni, e se li porteranno dietro per tutta la vita.

“Non giudicateli. Non trattateli come degli ammalati. Non teneteli dentro una campana di vetro.”

E poi i figli dovranno fare del lavoro enorme per uscirne.

C’è questa convenzione che quando si ha un figlio ammalato, anche con una semplice febbre, “Oddio vèstiti! Occhio che ti prendi la morte, copriti!”. Figurati se hai un figlio con un tumore!

Lo uccidi. Lo tratti come una persona diversa per tutta la vita.

Ad esempio, adesso ho smesso però ho sempre fumato. Un discorso che mi faceva sempre mia mamma è “Tu fumi, che sei stata malata!”. Cosa c’entra? Niente! Il fumo fa male a me, e fa male anche a chi è sempre stato bene.

Non fate sentire vostro figlio diverso dagli altri. Non controllatelo. Non compatitelo. Lasciatelo vivere normalmente.

Logico che finché una persona è in cura ha delle regole da rispettare, perché non avendo difese immunitarie non può stare con le altre persone.

Ma comunque trattatelo bene, parlateci, abbracciatelo, ditegli che gli volete bene, piangete assieme con lui, scherzateci assieme quando perde i capelli, come se fosse una cosa normale.

“Trattatelo bene, parlateci, abbracciatelo, ditegli che gli volete bene, piangete assieme con lui, scherzateci assieme quando perde i capelli, come se fosse una cosa normale.”

Rapporto umano, umanità: questo è quello di cui i vostri figli malati – e non – hanno bisogno.

Altre cose che se non ci sono, poi portano a problemi che dureranno nel tempo.

Due viandanti sul mare di nebbia (al rifugio Damiano Chiesa sul lago di Garda, monte Baldo).

So che mettere in pratica questi consigli è difficile, però direi di vivere la malattia con leggerezza, stargli vicino e farlo sentire come tutti gli altri ragazzi. Perché tuo figlio è come gli altri. Trattarlo con dolcezza, abbracciarlo.

Sarà la solita frase fatta, ma l’abbraccio è terapeutico: non c’è niente che faccia meglio. Non c’è cura, non c’è medicina migliore.

L’abbraccio è terapeutico: non c’è niente che faccia meglio. Non c’è cura, non c’è medicina migliore.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

C’è un progetto che è un po’ misto ad un sogno.

Da più di 10 anni ho scoperto una forte passione per la montagna, e appena posso scappo per andare a camminare, ciaspolare, pedalare sulla mia mountain bike.

La montagna è un ambiente in cui mi sento molto a mio agio, mi rilassa, mi fa stare bene.

Quando condividi questa passione con qualcuno ti conosci meglio, riesci a scoprire i lati più nascosti delle persone, anche quelli più belli.

“Quando condividi questa passione con qualcuno ti conosci meglio, riesci a scoprire i lati più nascosti delle persone, anche quelli più belli.”

Margherita in una recente escursione al Civetta.

Una cosa che mi piacerebbe fare è aprire una malga, in mezzo alla natura. Raccogliere le persone che arrivano, organizzando attività per tutte le categorie.

Mi piacerebbe davvero molto.

💚 Grazie, Marghe! Mi hai fatto emozionare tanto, e non vedo l’ora di essere accolta nella tua malga!

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